Un probabile Diario della Memoria
ANNOTAZIONI
PERSONALI di Chân
Pháp Y
(riprende la collaborazione di un caro amico
di cui avevamo pubblicato in passato tante note.
Per saperne di più vai nelle pagine dedicate al GIARDINO ZEN DI AVOLA)
Capitolo primo
Questo non è un diario, come usualmente s'intende, ed è destinato
alla lettura di chiunque voglia leggerlo con distacco e senza pretenzioni
critiche. Ma soprattutto è destinato a me stesso. In realtà mi sto fabbricando
una sorta di specchio per seguire da una prossimità immediata l'espandersi
delle mie rughe. Sin da ragazzo ho rifiutato di tenere un diario poiché mi
bastava scrivere articoli per un quotidiano, poesie e racconti. Scrivevo almeno
due o tre ore al giorno lasciando il resto del mio tempo alla lettura e allo
studio per quanto non facessi differenza fra le due attività. Leggevo molta
filosofia, storia e quella che allora si chiamava etnologia. Ero
entusiasticamente coinvolto in attività politiche.
Mi accompagna in questa decisione
di trascrivere una memoria per me stesso la lettura di alcuni libretti di
Schopenhauer scritti in tarda età. Al liceo era un autore ostico e, dopo, mi fu
sempre difficile digerire le definitive asserzioni di questo grande pessimista
che tale, a guardare la sua dorata vecchiaia, veramente non fu. Molti anni
dopo, inoltrandomi nelle selve intricate del Buddismo, mi venne l'idea balzana
di raffigurarmelo nelle vesti di un retrogrado monaco Theravadin drogato dal concetto
di sofferenza come inalienabile verità universale. Se la sarebbe cavata senza
il suo circondario di estetiche figuranti? Infatti conosceva la gioia.
Amo tuttavia la sua indiscutibile
saggezza, il suo sottile sense of humor,
il suo spirito immensamente percettivo; gli invio la mia energia di gratitudine.
Imbevuto di materialismo
marxiano, di eudemonismo epicureo e di Spinoza, sono arrivato a comprendere di
nuova luce, e ad amare, Nietzsche, un altro falsificato dalle ideologie
dominanti. Ritorno a un amore indesiderato che ha per nome Platone, spinto
anche qui da altri quali Alain Badiou e Roger Penrose; mi aggiro anche nei
dintorni di una ripetuta analisi di Hobbes e di Carl Schmitt: il passo del
granchio della senilità? No, ne sono certo, ma una riflessione piuttosto libera
dalle emozioni degenerative dell'età giovanile quando tutto ciò che non era
colorato di rosso, doveva necessariamente essere nero: un manicheismo tanto
assurdo quanto imbecille. Erano gli anni delle rivoluzioni di petto o meglio
della fede inconsulta nella rivoluzione armata permanente. Gli eroi inspiratori
avevano i nomi esotici di Mao Zedong, Ho Chi Minh e Che Guevara. Il concetto di
compassione ci era alieno e ci bruciammo l'esistenza, la migliore gioventù,
come qualcuno la definì, sul fuoco inquinante delle ideologie, anzi dell'Ideologia.
Pasolini lucidamente ne comprese l'infernale pericolo ma non fu ascoltato. Restò
coerente, fino alla fine, Albert Camus.
Di Guevara ritenemmo il
misticismo rivoluzionario senza tuttavia comprendere i due fattori fondamentali
della sua azione: primo, in positivo, che l'amore, e soltanto l'amore, nutre un
vero spirito rivoluzionario; secondo, in non positivo, la grande umanità che ha
detto basta! Era una grandissima illusione di un idealismo assolutamente
astratto. La grande umanità in rivolta non è mai esistita, né ancora oggi
esiste; qualcuno tenta di rinnovarne il mito chiamandola moltitudine, un
termine ancora più fuorviante poiché esso non definisce alcuna entità reale. Non
so se Spinoza oggi userebbe ancora codesto termine. Oggi l'unica moltitudine
esistente, piatta e anonima, è quella che alimenta il flusso umano dei
supermercati, dei consumatori di false informazioni televisive e dei surfers
d'Internet; mi si dice che Facebook è in linea d'arrivo al traguardo della
globalizzazione delle fughe. A
questa massa amorfa di bipedi manca il minimo senso di compassione e di
autocompassione, e quello di amore come pratica portante dell'interconnessione,
dell'entanglement delle coscienze.
Affogammo tutti, almeno quelli
della mia generazione e della seguente, nell'oceano di quella grande illusione.
Oggi, nel piacevole corollario
della mia età e a due passi dal dire l'addio definitivo ai miei libri, sento il
bisogno di esternare anche i miei ultimi desideri che non sono senili ma
l'espressione di una forte volontà di realizzare un sistema di vita comunitaria
radicato in convinzioni profonde spoglie di ogni ideologia, anche non politica,
di falso spiritualismo, d'iniquo misticismo e pertanto gravido di ascetismo e
di rinuncia. Sarò più preciso nei giorni a venire, secondo gli umori del
momento; voglio prima parlare del mio stato presente e delle cause che l'hanno determinato.
Ne parlerò per metafore e per immaginazione narrativa. Parlerò anche di mediocrità e di
mendicità mentale ovvero dell'abdicazione dalla morale. Tutto per la grande
soddisfazione egoistica dell'immagine che lo specchio mi riflette.
(Continua... A dopo...)